C’è ancora ignoranza in Italia sul p2p lending? Gli strafalcioni del Corriere.it

Ho letto di recente un articolo del Corriere.it postato in una discussione telegram, che si pone come “guida” a come funziona il p2p lending.

Si tratta di un articolo in cui un giornalista “esperto” di economia (lascio esperto nonostante quello che vi ho letto, per gentilezza) descrive l’asset class del p2p lending. Ne commenta pregi e difetti e tenta di dargli un’allocazione in un possibile portafoglio investimenti da parte di un risparmiatore comune. Proprio quest’ultima parte mi ha lasciato basito e mi ha fatto scrivere invece questo mio articolo.

Non leggo moltissimo il Corriere, per cui non l’avevo scovato prima. Ma è comunque uno scritto abbastanza recente (la data riportata è dell’11 maggio 2021) ed è inserito nella sezione “Economia: gestire i risparmi” della sezione online della nota testata giornalistica. Preciso la sezione perchè io stesso sono andato a verificare specificatamente che non fosse tipo una sezione “gossip” o una delle classiche pubblicità adsense che compaiono per farti acquistare un montascale tipo….

Questo è l’articolo specifico, e ve lo linko direttamente il punto di cui vorrei parlare in questa mia discussione: Corriere.it: prestiti fra privati

E’ un articolo in più pagine.

Le prime descrivono in modo molto generico come funziona il principio del p2p lending. Su queste non ho molto da dire, non ho rilevato nessun problema se non forse il fatto che è abbastanza semplicistico. Si rivolgono comunque ad un pubblico molto generico e, immagino, che non debba per forza avere una conoscenza della finanza personale molto sopra quella di base, perciò va anche bene così.

Ho preso invece spunto per l’articolo vedendo l’ultima pagina, “Quanto investire”. Questo dovrebbe porsi come una panoramica su come posizionare il p2p in un ideale portafoglio di investimento. Questo mi ha lasciato a dir poco basito per la scarsa qualità e, addirittura, ignoranza “tecnica” che rischia di diffondersi anche a chi legge. Ma non solo per le conclusioni a cui è arrivato l’autore, ma anche proprio per le premesse che ha utilizzato, dove proprio ha malinterpretato completamente le caratteristiche di rischio e le necessità dell’investitore di conoscere bene questo investimento.

Dato che la parte scritta è breve, e che, sfortunatamente, è riuscito a commettere errori in praticamente ogni frase, lo pubblico qui interamente e lo commento per far capire cosa rischia chi, ingenuamente, legge questi articoli e si affida a relatori di questo tipo.

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RISCHIO DEL P2P LENDING

In un buon portafoglio, lo spazio dedicato al p2p lending dovrebbe essere quello che si dedica agli investimenti a rischio medio/medio-basso. Nella maggior parte dei casi si potrebbe allocare una percentuale che va da un minimo del 10% fino a un massimo del 25% del proprio portafoglio.”

Magari a chi mi segue da più tempo gli staranno già sanguinando gli occhi come a me appena l’ho letta. E questi hanno già capito.

Per gli altri, provo a spiegare la mia reazione.

“Lo spazio dovrebbe essere quello che si dedica agli investimenti di rischio medio/medio basso”: è abbastanza chiaro che il p2p lending, per sua natura è un asset class che offre un rendimento molto più alto della media degli investimenti normali, ma anche perchè il suo stesso rischio è alto.

Comparandolo a investimenti in fondi obbligazionari, pensionistici, rendite assicurative credo sia palese che tutte queste abbiano a copertura aziende, banche o imprese di investimento molto più solide di qualsiasi finanziaria di p2p lending o di qualsiasi richiedente prestito a privati. Anche etf, fondi azionari e singole azioni quotate, per fare un altro esempio, hanno alle spalle imprese e aziende molto più solide di base. Ma chi investe in p2p lending di solito non lo fa per avere un richio basso e, di conseguenza, un rendimento contenuto. Chi investe in p2p lending lo fa per cercare un rendimento PIU’ alto degli altri asset class qui elencati e per questo sa che deve sopportare un rischio più alto, mitigabile attraverso l’accurata selezione di dove andare a prestare.

Nonostante tutto, la % di portafoglio che ha indicato nell’articolo, dal 10 al 25, è comunque sensata… meno male.

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Qualora il p2p lending fosse l’unico investimento nel segmento a rischio medio/medio-basso il tetto massimo potrebbe arrivare anche a un 30-35% del totale. Se si usano più piattaforme, questa percentuale andrà smezzata tra quelle scelte.

Peccato, una cosa l’aveva scritta giusta e dunque si corregge per non rischiare di indirizzare bene il lettore… “La % può arrivare ad un 30-35%”… Allora, secondo me, SI’. Può arrivare a quelle %, ma se chi investe sa bene quello che sta facendo e ha una situazione finanziaria che glielo consente. Per un lettore medio del corriere della sera (intendo una qualsiasi persona che abbia una conoscenza della finanza personale non più di basica) quella percentuale NON può essere consigliata.

E rincara la dose sul rischio basso… Mi viene da chiedermi, se il p2p è a rischio medio/medio basso, cosa intende l’articolista per rischio molto alto? Investimenti a leva 100x in Dogecoin? Prestiti ad aziende che investono in Eritrea al tasso del 40%? Sto evidentemente esagerando, ci sicuramente sono altri tipi di investimento tipo trading vario o appunto criptovalute, di per sè sono sicuramente PIU’ rischiosi del p2p lending e molto più volatili. Ma mi sembra abbastanza chiaro come l’autore inquadri male il posizionamento del p2p…

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DIVERSIFICAZIONE NEL P2P LENDING

“Il consiglio è di iniziare dividendo in parti uguali, disinvestendo poi progressivamente da quelle che performano peggio, per andare ad aumentare l’investimento su quelle che performano meglio.”

Nella seconda parte subito una perla. Nella sostanza, sta consigliando al solito “lettore medio” del Corriere: investi un po’ su tutte le piattaforme di p2p lending. Non interessarti se c’è meno solidità finanziaria, più possibilità di insolvenza, rende meno etc. Tu intanto investi su tutto, un po’ a casaccio, poi quando vedi che qualcosa “performa peggio” disinvestirai da quello e reinvestirai sull’altro.

Allora.. Cercando di ignorare la confusione che creerebbe domandarsi cosa intende per “dividendo in parti uguali” (richiedenti? loan originator? piattaforme? non chiediamocelo), pensate al caso in cui scoprite dopo aver investito che una “parte” performa peggio.

Chi già investe in p2p lo sa. Come disinvesti? Normalmente la classica “one click exit“, cioè la possibilità di uscire da un prestito liquidandolo alla piattaforma o alla finanziaria, non è concessa dalla stragrande maggioranza delle piattaforme. E c’è da dire che quando è offerta liberamente a tutti gli investitori, si sta mettendo “STRESS” alla solidità della piattaforma o finanziaria. Quando essa si troverà a doverlo fare in massa in casi estremi, quindi non è detto che questo sia sempre un bene per l’investitore. Anche il mercato secondario, cioè liquidare agli altri investitori, si sa bene che non funziona se ci sono problemi strutturali su un loan orginator.

Il mercato secondario, come si sa, è molto spesso precluso ai prestiti con problemi strutturarli di rimborso (pending payments o default), quindi nemmeno lì si può liquidare. O forse intendeva di attendere tutti gli incagli fino a loro rimborso o nei casi peggiori le procedure legali? In questo caso non credo l’articolista abbia sperimentato quanto è il costo, in termini di calo di rendimento, di queste situazioni.

La soluzione migliore per investire nel p2p lending è SEMPRE quello di ottenere prima tutte le informazioni possibili su dove si sta investendo, selezionare ciò che più è in linea con i nostri obiettivi e POI investire. Non attendere di prenderla nel sedere prima di ottimizzare le strategie.

Per chi non conosce ancora il mondo del p2p lending, avere delle informazioni su quali possano essere le piattaforme più solide e/o più performanti prima di investire è pressochè indispensabile. P2P-Italia, ad esempio, mette a disposizione di tutti la sezione “Le migliori piattaforme“, aggiornata periodicamente, che potete trovare in cima al sito.

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Ma questo non è l’unico criterio di diversificazione: c’è poi da considerare come diversificare l’investimento sulla singola piattaforma, ovverosia come splittare la porzione dedicata al p2p lending su più quote.

Qui forse è la parte meno peggio. Diversificare su più quota all’interno della stessa piattaforma (cioè, detta un attimo meglio, investire su più prestiti/ progetti e non concentrare tutta la quota su pochi singoli) è pienamente condivisibile. Peccato sia omesso che è comunque sempre necessaria una diversificazione (che sia fra finanziarie o singoli progetti, sempre si DEVE fare una due diligence iniziale sulle offerte).

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CONCLUSIONI

Ho preso nella sostanza un articolo di una testata giornalistica di prima fascia (anche se non prettamente economica) per far vedere a chi legge quanta ancora poca informazione reale ci sia su questa classe di investimento. Una poca informazione di questo genere tende a creare problemi. Non solo agli investitori, che rischiano di investire nel p2p come fosse un conto deposito, e saranno portati a perdere capitali o guadagnare molto meno rispetto a quello che potrebbero ottenere attraverso selezioni più oculate. Ma anche alle stesse piattaforme, che in caso di perdite da parte di molti investitori che sono entrati non essendo adeguatamente preparati si troverebbero ad affrontare un immagine del loro business molto peggiore di quello che nella realtà è!

Investire nel p2p non è adatto a chi cerca di ottenere sì e no un 2/3% netto dal proprio capitale investito. Questo, passatemi il commento personale, non è investire, ma quasi mettere i soldi sotto il materasso: un conto deposito non è un investimento, un titolo di stato non è un investimento.

Il p2p è un investimento reale: i rendimenti sono più elevati perchè i rischi sono reali e serve comprenderli bene prima di investire. E solo quando si applicano i risultati del proprio studio, si riesce ad investire con profitto decente.

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